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Un nuovo progetto per l’internazionalizzazione degli architetti italiani

La grave carenza di sbocchi professionali nel mercato italiano, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni, la difficoltà a delineare nel nostro Paese scenari futuri che consentano di dare risposte responsabili alle attese di un imponente numero di architetti, le contaminazioni di carattere globale che investono la professione e la necessità di definire azioni positive in grado di reggere il confronto obbligano a pensare a un radicale cambiamento di rotta nelle politiche del nostro sistema ordinistico.
Da una parte, infatti, siamo in presenza di un mercato professionale italiano ormai più che saturo, incapace di offrire prospettive credibili al mondo degli architetti, il cui numero peraltro è in continua crescita: una situazione che non sembra sostenibile neppure in un quadro (a mio parere inaccettabile) di «invenzione» di opportunità di occupazione caratterizzate da forti aspetti di marginalità professionale. Dall’altra, un fenomeno di estesa e pervasiva globalizzazione investe tutte le aree, ponendo problemi di efficienza, di qualità e di capacità di innovazione: problemi con i quali è necessario confrontarsi, pena la marginalizzazione e la successiva scomparsa dal mercato. Non esistono ormai settori che possano considerarsi, per la loro natura o per il «localismo» delle prestazioni offerte, inattaccabili da concorrenze esterne o indifferenti alla loro espansione verso nuove realtà territoriali.
Il fenomeno della globalizzazione, insieme ai tanti rischi che comporta, apre infatti nuovi scenari, sui quali è opportuno affacciarsi per allargare l’ambito dell’esercizio professionale e dell’offerta di servizi verso cui tende la nostra attività. Senza dimenticare l’esigenza di una profonda trasformazione del mondo professionale, è indispensabile, quindi, presidiare le nuove «frontiere» per tentare di costruire sistemi e servizi in grado di agevolare l’accesso ai nuovi scenari per i tanti progettisti.
Le grandi trasformazioni di carattere territoriale ed economico che investono parti significative del mondo, l’esigenza che l’accesso a forme di benessere economico, sociale e nel campo dei diritti umani avvenga in forme e modi tali da tutelare le risorse mondiali, i grandi processi di riconversione di intere economie verso forme di maggiore sostenibilità richiedono uno sforzo gigantesco di elaborazione ed enormi capacità di «progettazione», a cui il nostro sistema professionale può offrire un credibile e fondamentale contributo, se si dimostra in grado di uscire dalla cerchia delle mura (il nostro fragile ambito professionale ed economico locale) e impara a dialogare (o a competere) con l’esterno.
Le trasformazioni indotte dalla globalizzazione e dalla pervasività dei suoi effetti, proprio in ragione delle loro dimensioni, possono essere colti in modo utile solo a determinate condizioni di carattere generale:
1) che le opportunità discendano da accordi politici tra sistemi-paese
2) che si concordino strategie convergenti tra soggetti nazionali operanti nello stesso settore, per rafforzare l’identità di sistema e impedire la polverizzazione delle azioni di promozione economica
3) che si costruiscano percorsi di sostegno, protezione e agevolazione per garantire quanti intendano esportare il proprio bagaglio di esperienza
4) che le capacità tecniche ed organizzative vengano adeguate al confronto e alla competizione
A partire da tali premesse è possibile impostare e dar corpo a politiche di «esportazione» dei saperi locali e di quelle capacità che vengono riconosciute come patrimonio proprio della nostra categoria, a partire dalla grande attenzione che l’intero mondo rivolge al made in Italy e alla capacità, tutta italiana, di fare dell’atto della progettazione un’operazione di sintesi culturale su una materia di contenuto complesso. O, ancora, partire dal grande interesse che il sistema urbano, i suoi spazi pubblici, l’interazione tra le funzioni private e pubbliche che animano i nostri centri storici ancora suscitano nei livelli decisionali delle nazioni emergenti: la città italiana e la sua caratterizzazione urbanistica, almeno nel suo manifestarsi nel corso dei secoli, sono valori straordinari ampiamente riconosciuti all’estero.
Occorre far diventare la capacità di governo del progetto, nell’urbanistica e nell’architettura italiana, uno degli elementi significativi di una politica di affermazione economica del paese nei mercati esteri: tanto più sarà possibile operare in termini di collaborazione orizzontale (con altri sistemi economici nazionali) e verticale (con l’intero sistema ordinistico) tanto più interessanti potranno essere i risultati. Il ritorno economico potenziale è tale da garantire flussi di occupazione in tutti i settori dell’edilizia sia per la progettazione che per la produzione imprenditoriale, per la vendita di materiali, della componentistica e dell’evoluzione tecnologica.
Per raggiungere un risultato apprezzabile è necessario che venga abbandonato l’eccessivo individualismo che ha finora connotato le operazioni di promozione dell’Italia (la frantumazione si determina su base regionale o piuttosto per settori di attività o di produzione), creando strategie nazionali unitarie per settori omogenei.
Occorre inoltre dare concretezza a una vera e propria industria italiana delle costruzioni, mettendo in rete sistemi per ora troppo segmentati e non collaboranti tra loro; a partire dal sistema delle produzione fisica dei «volumi urbani» occorre coinvolgere quei soggetti che realizzano e gestiscono i servizi di una comunità (ciclo delle acque, dell’energia, della mobilità, dei rifiuti).
Tutto ciò implica da una parte la realizzazione di tavoli di concertazione che veda il contributo attivo e consapevole non solo del mondo professionale (Ordini, Oice) e delle imprese (Ance), ma anche della produzione (associazioni di categoria dei produttori, Cciaa), della finanza (banche e istituti finanziari), di organi dello stato (ministeri degli Esteri, dei Beni culturali, delle Attività produttive, Ice, Simest).
Occorre quindi che il sistema degli Ordini degli architetti italiani, a cominciare dagli organi di rappresentanza nazionale, si adoperi per la creazione delle condizioni al contorno del progetto, che passano attraverso accordi istituzionali con gli altri soggetti coinvolti e, naturalmente, con gli organismi professionali dei paesi destinatari nostri omologhi, con i quali attivare percorsi di cooperazione internazionale.
È necessario prevedere la creazione di strutture sia decentrate nei territori oggetto di interesse (antenne locali in grado di fornire informazioni direttamente dai mercati potenziali) che sul territorio nazionale: la creazione di un coordinamento e di una rete in grado di attivare iniziative e stabilire relazioni culturali e commerciali con mercati professionali anche molto diversi tra di loro diventa l’obiettivo da perseguire.
Ma per affrontare la concorrenza degli altri paesi in modo utile per i nostri architetti è indispensabile annullare il più in fretta possibile il divario esistente in Italia tra la formazione e la pratica professionale, ma anche adeguare gli standard dei nostri professionisti alle procedure e ai livelli organizzativi dei mercati esterni nonché a una conoscenza adeguata del linguaggio tecnico internazionale, mediante la creazione, in stretta collaborazione con gli altri soggetti coinvolti nel progetto di internazionalizzazione (Ance, Oice), di una Scuola di alta specializzazione.
Sarà importante infine la creazione di una rete, diffusa quanto meno in ambito europeo ed estesa ai paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina, per esempio), volta a favorire l’attivazione di borse di studio per giovani professionisti e a consentire la loro accoglienza in un sistema protetto (gli incubatori) che implementi un approccio «globale» alla professione, con alti livelli di mobilità e flessibilità.

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Last modified: 14 Luglio 2015